Interrogarsi sul testo di una rappresentazione teatrale è la prima risposta al senso di incompiutezza che una recita ben eseguita non riesce a colmare in uno spettacolo di intrinseca povertà. A Locarno è successo questo. Anzi, è successo che Maria Amelia Monti e Paolo Calabresi sono stati capaci di sfuggire al pericolo della recitazione spinta e dell’interpretazione esageratamente caratteriale dei personaggi tipica da commedia leggera, ma purtroppo il testo di Nudi e crudi ha rubato loro la fuga narrativa dal palcoscenico che ci si poteva aspettare da un drammaturgo come Alan Bennett.
L’arte non ha mai disdegnato la pratica di schemi d’antica intuizione o di frequente impiego, allo stesso modo in Nudi e crudi la già sperimentata metafora dello spoglio fisico in corrispondenza alla liberazione interiore è valida ed efficace per aprire lo spettacolo. Ma poi l’intuizione diventa ossessivo rimescolamento di espedienti narrativi di palese prevedibilità e arriva così a dare sfogo a una sommarietà tematica che dispiace. Ci sarà pure sapienza nella trama, ma si percepisce l’assoluta mancanza di una profondità argomentativa che sappia spezzare le catene della narrativa già battuta, della critica sociale spicciola da manuale.
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