Recensione

Critica teatrale su "Re Lear"Vai alla home
Matteo D'Anna

Il "Re Lear" tocca le corde più profonde e potenti del nostro Io, e per questo è maestoso e sempre portatore di significato. Una rivisitazione in chiave (post)moderna di una qualsiasi opera è sempre pericolosa, in quanto si rischia di snaturare oltremodo la pièce, invece se viene eseguita bene può dare inattesi sguardi sulla natura stessa dell'uomo. Il secondo caso vale per il lavoro svolto dalla regia di Michele Placido e Francesco Manetti: anche attraverso una superba performance di tutti gli interpreti, tra i quali si segnala uno strepitoso Edgar, che può essere preso come vero e proprio exmplum quando si tratta di coinvolgere il pubblico non solo con la parola, ma anche e soprattutto con i gesti e i movimenti del corpo.

 

Movimenti del corpo che sono risultati essere l'arma in più, e per di più vincente, di tutti i personaggi, che sono saliti sul palco comunicando con il pubblico anche con la loro fisicità, come Lear stesso, che all'inizio dello spettacolo si erge dritto e fiero e che alla fine non è altro che un povero vecchio, per giunta senza qualche rotella, o come il Conte di Gloucester, anche lui spavaldo e temerario al principio, giunge alla fine incerto e tremolante, con la sua cecità simbolo della cecità che ha colpito un'intera generazione di potenti, che viene incalzata e scalzata da una nuova generazione che preme per ottenere il proprio spazio fisico, lottando contro i padri per ottenerlo: si pensi alle figlie traditrici di Lear, Goneril e Regan, oppure al figlio del Conte di Gloucester, sempre traditore, Edmund. I tre traditori dei padri passano da un abbigliamento idoneo al ruolo di figli dei loro padri (e scusate se è poco), a dei vestiti in pelle, attillati, complice anche la battaglia tra francesi e inglesi che si svolge sullo sfondo, che poi così sfondo non è, che ne esaltano ancora di la presenza fisica, arrivando poco prima dell'epilogo a consumare atti di passione carnale, aumentando ancora la loro bassezza. Un uso coraggioso di effetti sonori e luci si è rivelato vincente: ad esempio per simulare la battaglia sono stati usati dei lampi di luce che venivano riflessi sulle spade dei guerrieri, che dovevano essere moderne per forza, perché potevano essere impugnate anche dalla parte della lama, tanto che in alcuni duelli sono state usate come bastoni, impugnandole alle due estremità.

 

Moderna era anche la scenografia: il rifugio del povero Tom era un tubo di cemento, con all'interno svariati graffiti, tra cui anche un "peace and love", che non guasta mai, e un dipinto raffigurante un cavaliere nella metà superiore presentava un graffito nella parte inferiore.

 

Un bella trovata scenica e senza dubbio il pozzetto di fango con il quale, direttamente sul palco, Edgar diventa il povero Tom.

 

L'ultima menzione va senza dubbio a Brenno Placido, nei panni del Matto, che accompagna il regista suo padre Michele (Re Lear) nella discesa verso la follia: in un ruolo non facile si districa molto bene tra battute satiriche e movenze perfette, senza dimenticare la riuscitissima parte rap. Lo spettacolo va sicuramente visto, può essere sia un battesimo shakespeariano, e che battesimo!, ma verrà anche apprezzato dal fedele pubblico di lungo corso.

 

Lo spettacolo sarà messo in scena anche il 26.1.15 a Varese, tra il 24.2.15 e l'8.3.15 a Milano e per finire il 10-11.3.15 a Como.

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