Recensione

Critica teatrale "Il malato immaginario"Vai alla home
Nicola Medici

Argante, il “malato” del titolo, è seduto sulla sua solita poltrona, chiama insistentemente la sua serva, che tuttavia non sembra minimamente interessata a lui, anzi, si prende anche gioco del padrone. Così si apre “il malato immaginario”, opera teatrale comica scritta da Molière, e messa in scena da Andrée Ruth Shammah. Molière, in questa opera, racconta la storia di Argante, un francese anzianotto, convinto di essere gravemente malato, che si mette nelle mani di medici che non hanno la minima idea di quello che stanno facendo, inventando diagnosi e cure a casaccio per spennare il povero ingenuo. Il protagonista, tra una purga e un clistere, decide di dare la figlia Angelica in moglie a un medico, il quasi laureato Tommaso Diaforetico, nipote del suo medico (il Dottor Purgone), in modo da avere un medico all’interno della sua famiglia e, magari, addirittura in casa sua, così da avere le cure necessarie alla sua “malattia” in qualsiasi momento. Tuttavia la figlia è innamorata di un altro uomo (Cleante), che ha conosciuto pochi giorni prima alla rappresentazione di un’opera lirica. La povera Angelica è sostenuta in questa sua battaglia apparentemente senza speranza soltanto dalla serva Tonina, unico personaggio che sembra avere a cuore il destino della ragazza. La situazione si complica ulteriormente con l’entrata in scena di Belinda, seconda moglie di Argante e matrigna di Angelica (e della sorella Luigina), interessata unicamente ai soldi del marito. Lei punta a mandare in convento le due figliastre, in modo da essere l’unica erede alla morte del “caro e gravemente malato maritino”.

Questa commedia, capolavoro di Molière, al secolo Jean-Baptiste Poquelin, è divertente, ironica, pungente, e presenta una non molto velata critica contro il mondo accademico, e in particolare quello medico. Infatti i medici, qui rappresentati dai dottori Fecis, Purgone e Diaforetico, danno l’impressione di essere degli incompetenti, che usano il latino per darsi un’aria più credibile elencando termini medici latini per confondere il paziente, in modo che creda a qualsiasi parola uscita dalla loro bocca; che interpretano gli stessi sintomi ognuno in maniera diversa, ognuno presenta una sua diagnosi e propone la sua cura (tutte le cure però consistono in purghe, clisteri, e infusi di erbe); e che disprezzano e rinnegano le nuove scoperte scientifiche in campo medico, quali la circolazione sanguigna.

Questa critica è resa più esplicita sul finale da Beraldo, fratello del protagonista, che rappresenta a pieno il pensiero di Molière (l’autore, infatti, attraverso la voce di questo personaggio, fa esplicitamente riferimento a se stesso, indicando quello che pensa della classe medica), sostenendo l’incompetenza dei medici e il prestigio che questa carica dovrebbe suscitare nei loro pazienti. L’autore porta avanti nella sua opera anche alcune tesi illuministe, quali la validità e la necessità di un ricerca scientifica in campo medico, oppure la ricerca della felicità (della giovane Angelica, che vuole sposare l’uomo che ama, opponendosi alle antiche leggi della famiglia, che imporrebbero che sia il padre a sceglierle il marito adatto).

Mi sento di consigliare questo spettacolo a tutti (nonostante la sua durata, che supera le due ore e mezza, ma che non pesano eccessivamente sullo spettatore) per la sua forte ironia al mondo dell’epoca e per la leggerezza con cui sono trattati i temi.

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